L’HARDORE DI SCENA VERTICALE

a1n12hard1Castrovillari (CS) – Una scrittura scenica complessa questa che Scena Verticale ha presentato a Castrovillari, aprendo la rassegna di spettacoli organizzata dalla stessa compagnia nell’ambito della seconda edizione di “Primavera dei teatri”. Proposto come “ultimo studio” di un lungo processo di costruzione, Hardore di Otello, scritto e diretto da Saverio La Ruina, mostra un’abbondanza di materiali che attendono ora di essere sfrondati, in modo da alleggerire e donare fluidità all’intera struttura dell’opera.
La messinscena sorprende un giovane Otello in braghette e canottiera in un avanzato stato di delirio post omicidio, mentre giace di fronte ad un maxi schermo che rimanda immagini dell’amata Desdemona. Sospeso sghembo sulla sinistra della scena questo sito virtuale vomita tutta la collezione privata di Otello, maniacalmente catalogata nel computer e in continuazione riprodotta per tentare di tamponare una terrorifica mancanza. E da questa mancanza La Ruina è partito per costruire una tragedia calabro-scespiriana (così nel sottotitolo) che di Shakespeare mantiene pochi nodi tematici, per ripercorrere invece alcuni luoghi cari e già frequentati dall’autore-attore-regista di Scena Verticale. Intanto, la partitura drammaturgica si snoda attraverso un percorso incidentato da innesti dialettali, che riportano ad un atavico passato – immediatamente attualizzato dal personaggio del padre – cozzando contro il presente tecnologico del giovane Otello e della sua Desdemona virtuale. Una modernità sopraggiunta, qui a Sud, già “post”, incompresa da quel padre che si esprime in una lingua rigettata dal figlio. E qui “lo scontro” generazionale, l’impossibilità di capire, di impostare un dialogo che possa salvare dalla tragedia. Hardore diventa allora la rappresentazione dello iato esistente tra due mondi vicini, per superare il quale solo il padre sembra protendersi verso il figlio, mentre quest’ultimo rimane bloccato nel suo cieco egoismo. Ma lo sforzo ermeneutico di un padre ricacciato ai margini dell’esistenza del figlio è in funzione di un bisogno di riproporre la propria “normalità”, ormai improponibile. Un padre, che non accetta – non vede – semplicemente perché non capisce un apparato di segni, forse evidenti, o almeno più decifrabili, in altri contesti. Uno dei punti di forza della scrittura di La Ruina è proprio la capacità di inserirsi nella specificità sociale e culturale del suo territorio, quell’entroterra calabrese severo, misterioso, solcato da alte montagne. <<Quel pezzo d’Italia senza futuro del mai visto e del mai cominciato>> – dice ad un certo punto Otello. E da lì raccontare una storia universale. Una storia di confine, questo Hardore, come era stata estrema la scelta di indagare dall’interno l’universo delle transessuali con de-viados (il penultimo lavoro di Scena Verticale).
Così Otello (interpretato da Dario De Luca, direttore artistico, insieme con La Ruina, di “Primavera dei teatri”) giace avvolto nella sua antropomorfa poltrona, avvinghiato alle prosperose mammelle che ne formano i poggiatesta. E clicca disperato sul mouse, attivando quelle amate visioni e i suoi monologhi masturbatori, che andrebbero forse un po’ asciugati e interiorizzati evitando un inutile sfoggio di sofferenza. Quelli che passano sul maxi monitor sono primissimi piani e particolari che lo riportano nel suo rapporto con Desdemona. Ogni tanto è distratto dal suo amico Iago (particolare l’interpretazione del giovanissimo Fabio Pellicori), inquietante corpo e voce che ripropone mancanze ancora più gravi quando arriva disperato per la morte del suo criceto, che confesserà poi di avere ucciso per “gelosia”: la defunta bestiolina riservava troppe attenzioni alla compagna-cricetina.L’impianto scenografico ricalca le intenzioni drammaturgiche, immergendo l’azione all’interno di una piscina che ha una duplice funzione, da una parte di fetida discarica per i rifiuti in cui annegano ma poi riemergono oggetti feticcio di un presente incomprensibile e di un passato riconoscibile solo dal padre e dall’altra di luogo della purificazione. Anche la poltrona di Otello galleggia in quest’acquitrino infestato da gracidanti ranocchie. In più questa piscina, perimetrata da un muretto di mattoni grigi su cui insiste una perenne azione di costruzione del padre, sottolinea e descrive tanti paesaggi meridionali. Mentre accanto, sulla destra della scena – nello spazio del padre – si erge una candida statua della Madonna del Pollino.C’è anche Cassio in questo Otello, un bravo e pulito ragazzo che si chiama Rosario (Rosario Mastrota) e fa il muratore insieme al padre, per questo interminabile e scivoloso muretto-casa, sul quale transitano e dal quale spesso cadono i personaggi. Su Rosario, unica e impotente figura “positiva”, il padre trasferisce, ovviamente, il suo bisogno di normalità. La sua necessità di recuperare dei riferimenti, fosse solo per consegnare in eredità il suo vissuto, oramai sconquassato. Ed è significativo, come se La Ruina abbia voluto operare una sospensione dell’analisi di un ruolo, che manchi la madre, della quale però si ritrovano tracce in alcuni motivi del padre. Mancando la mediazione materna l’unico personaggio femminile è Desdemona (una Stefania De Cola compiaciuta nel suo dark), che verso la metà delle due ore di rappresentazione si materializza sulla scena con tutto il suo portato di sofferenza. La spirale narrativa accelera allora il suo vortice nelle parole di questo spettro di giovanissima donna, segnata dagli abusi paterni, che ha tentato di cancellare attraverso pratiche di sesso estremo con Otello. Il dialogo tra i due amanti si apre sull’universo del loro rapporto “malato”, con la rievocazione del primo sangue mestruale subito come giusta punizione per quei contatti incestuosi. Sangue che Desdemona ha pulito con un lenzuolo, poi stracciato e gettato dalla finestra in mille pezzi. Uno di quei brandelli finisce nelle mani di Iago al posto del famoso fazzoletto, che detta a Otello l’epilogo omicida.
L’intreccio è un po’ barocco e non permette distrazioni allo spettatore, farcito di piccoli particolari, tutti però funzionali all’architettura della messinscena. Invece, è sul ritmo che Scena Verticale deve ora lavorare, per rendere più incalzante specialmente nel finale il susseguirsi delle scene. Peraltro alcune di particolare bellezza formale, valga solo quella pietà laica che il padre, elevato ormai a genitore fallito tout court, configura con Otello esanime tra le braccia.
Hardore di Otello (tragedia calabro-scespiriana) sarà in scena al Teatro Quirino di Roma (il 23 e 24 giugno), al festival di Santarcangelo (il 12 e 13 luglio) e al festival delle Colline Senesi (il 30 luglio), dove il 2 agosto sarà proposto anche de-viados.